Roma città aperta – di
Roberto Rossellini
Marilena Dattis
"Roma, città aperta" (1945). Roberto Rossellini
Poster
Marilena Dattis
Il 31 luglio del 1943 il ministro degli esteri italiano Raffaele Guariglia, comunica al Vaticano che Roma era stata dichiarata “città aperta”; il 14 agosto il governo Badoglio proclama ufficialmente e unilateralmente Roma “città aperta” e la Santa Sede fa pervenire, la comunicazione del governo Badoglio, ai governi di Londra e Washington.
La definizione città aperta significa che la città non viene dotata di mezzi difensivi o offensivi. Per tali ragioni dovrebbe essere risparmiata dai bombardamenti o azioni belliche. Mentre l’Italia smilitarizza effettivamente la città, la Germania ignora qualsiasi impegno a riguardo, i governi alleati perciò ignorano la dichiarazione unilaterale e si riservano “piena libertà di azione nei riguardi di Roma” . Prima della Liberazione, avvenuta il 4 giugno 1944, la città subirà altri 51 bombardamenti.
Con l'occupazione tedesca, la città di Roma viene messa in ginocchio, mancano i beni di prima necessità dall'acqua al pane. In questo clima, un giovane regista Roberto Rossellini e uno scrittore di cinema Sergio Amidei, sentono il bisogno di documentare in un film quanto è successo in quei mesi di occupazione nazista.
Con l'occupazione tedesca, la città di Roma viene messa in ginocchio, mancano i beni di prima necessità dall'acqua al pane. In questo clima, un giovane regista Roberto Rossellini e uno scrittore di cinema Sergio Amidei, sentono il bisogno di documentare in un film quanto è successo in quei mesi di occupazione nazista.
Alla sceneggiatura collaborano Sergio Amidei, Federico Fellini,
Celeste Negarville e Roberto Rossellini.
Il film viene girato nell’immediato dopoguerra, a pochi mesi dalla
Liberazione.
Le difficoltà sono immense, bisogna trovare, non solo il denaro che
serve, ma anche gli uomini e i mezzi. La pellicola è introvabile, si gira con
quello che si riesce a reperire, spesso di scarsa qualità.
A Roma gli stabilimenti di posa sono stati smantellati e ospitano
gruppi di profughi. Ma le strade e le piazze di Roma portano ancora tutti i
segni che la guerra ha lasciato. Quegli stessi luoghi diverranno i set
cinematografici. Il film si inizia a girare, con mezzi di fortuna, lì dove i
fatti erano realmente accaduti solo pochi mesi prima.
In Roma città aperta, si racconta la storia della popolazione
romana sotto il giogo nazista. Si raccontano senza riserve, le torture, le
ritorsioni, gli episodi di eroismo di cui furono protagonisti gli uomini e le
donne che si opposero a quella barbarie. Il film si sviluppa intorno al
personaggio di Don Giuseppe Morosini, adattato da Sergio Amidei, un parroco
romano fucilato dai nazisti, dopo essere stato sottoposto a torture, per aver
nascosto i partigiani.
Ad interpretare la parte di Don Morosini viene chiamato Aldo Fabrizi
che a quell’epoca era considerato uno dei più grandi comici del varietà.
L’attore rese al personaggio di Don Pietro un’interpretazione magistrale.
Rossellini e gli altri sceneggiatori decisero di inserire, all’interno
della storia, le vicende dei ragazzini di
Roma, che durante l’occupazione avevano dato un loro valido contributo alla
Resistenza, facendo da collegamento e da porta ordini e talvolta nascondendo
anche armi.
Altro personaggio cardine è Teresa Gullace, una donna uccisa dai
tedeschi nel quartiere Prati, madre e per di più incinta, che aveva tentato di
opporsi ad un rastrellamento in cui era caduto suo marito.
Nel film ad interpretare la parte viene chiamata Anna Magnani, che
entra nel ruolo di Pina con una partecipazione emotiva tale da commuovere tutto
il mondo.
Roma. Italia. 1944. Un gruppo di militari nazisti fa irruzione in una
pensione per catturare il sovversivo ingegner Giorgio Manfredi, che però riesce
a dileguarsi fuggendo sui tetti. Il maggiore Bergman è sulle sue tracce da
tempo poiché l’ingegnere è stato riconosciuto come uno dei rappresentanti più
importanti del Comitato di Liberazione Nazionale.
Il film si presenta subito, sin dalle prime scene, come documento
storico, le sequenze iniziali presentano un carattere documentaristico.
Mentre ancora scorrono i titoli e sfuma leggermente la musica, si
sente un coro di voci che canta una marcetta in tedesco, l’immagine che apre il
film è una squadriglia di nazisti che, cantando con i fucili in spalla, marcia
su Roma. Stacco.
Una camionetta si ferma in mezzo alla strada deserta, una truppa di
tedeschi scende e si dirige verso una palazzina, arrivati al portone battono
tre colpi. La mdp inquadra lateralmente un balcone con le imposte chiuse e
mentre i tedeschi continuano a bussare con irruenza, si sente una “voce off”
prima in inglese poi in italiano che dice : “La voce di Londra”. E’ lo speaker di
Radio Londra.
Con Roma città aperta , si apre una nuova stagione per il
cinema italiano, rappresentata dal neorealismo. Non è semplice, oggi,
comprendere in tutte le sue implicazioni un fenomeno che fu senz’altro
complesso e che non può essere ridotto a una formula o a un’immagine
stereotipata. Tuttavia, poche opere sono state sufficienti a definire una nuova
estetica, capace di rinnovare non solo il cinema italiano, ma anche di
costituire un punto di riferimento per altre cinematografie, in varie parti del
mondo.
L’impiego di attori non professionisti, il realismo dell’ambientazione
ottenuto abbandonando gli studi di posa a favore delle riprese in esterni,
l’adozione di uno stile documentaristico, la narrazione di vicende ispirate
alla vita quotidiana, ai fatti di cronaca: sono questi i principi estetici
introdotti dal neorealismo.
È vero che la grande rivoluzione il neorealismo la attuò a livello
estetico, ma non solo.
La modernità di forme, di contenuti, di segni, di linguaggio
cinematografico diventa il punto di partenza e di arrivo del ruolo figurativo
della macchina da presa.
Il concetto di realismo nella modernità cinematografica, ad opera di
registi quali Rossellini, Visconti o della coppia De Sica- Zavattini, non è
legato soltanto ad una realtà fenomenica delle città italiane dell’immediato
dopoguerra, ma soprattutto all’immagine che questi registi hanno saputo rendere
di quella realtà.
Qualcosa cambia all’interno del cinema, quando questo prende coscienza
di se e dell’utilizzo dei propri mezzi, ed è soprattutto nell’evoluzione del
linguaggio cinematografico che si attua la modernità del neorealismo.
Il cinema italiano nell’utilizzare l’aspetto riproduttivo del mezzo
riesce a restituire l’illusione del reale ma anche una “partecipazione“ al
reale in senso zavattiniano : i fatti non nascono da soli, ma nascono perché
noi partecipiamo ad essi.
La voce fuori campo è presente in molti film neorealisti, ma nel caso
della sequenza di apertura di Roma città aperta assume una vera e
propria funzione metacomunicativa, il regista “sta comunicando”, attraverso un
altro media, in questo caso la radio, un’informazione molto importante.
Alla fine dell’annuncio dello speaker: “La voce di Londra” , le imposte si aprono, una donna spia di
sotto e vede i nazisti che si apprestano ad entrare nel portone: “Oh Gesù”,
esclama, portandosi le mani alla testa. In quelle due parole è racchiuso, il
dramma, il terrore per quello che potrebbe accadere. Le imposte si richiudono.
È solo dopo che si ascolta la voce alla radio, che la donna aprirà la
finestra. Il ruolo in guerra di Radio Londra è stato cruciale nello spedire
messaggi speciali, redatti dagli Alti comandi alleati e destinati alle unità
della resistenza italiana.
I tedeschi stanno cercando il partigiano Manfredi. E’ lo speaker di
Radio Londra che sta informando gli abitanti della casa del pericolo e che in
uno gioco metacomunicativo informa lo spettatore, rendendolo così “partecipe”
di quello che sta per accadere. L’ingegnere ricercato dalla Gestapo è proprio
in quella casa.
Dissolvenza. La mdp ci mostra l’uscita sulla terrazza di Manfredi,
che, prima di scappare, spia all’interno di un abbaino e vede i tedeschi sul
pianerottolo dinanzi alla porta della casa, a quel punto inizia la fuga di
Manfredi.
Queste le prima sequenze del film, che esce nelle sale italiane il 27
settembre 1945, accolto piuttosto freddamente in Italia per motivi politici.
Alla prima edizione del festival di Cannes, nel 1946, a Roma città
aperta viene assegnata la Palma d’oro, il nuovo cinema italiano conosce un
successo internazionale senza precedenti.
L’eterna immagine creata da Rossellini in Roma città aperta,
con Anna Magnani che corre dietro il camion che sta portando il marito al
massacro delle Fosse Ardeatine, condensa in pochi istanti, anni di cinema, anni
di storia.
L’’uccisione della sora Pina in Roma città aperta, è una di
quelle immagini della storia del cinema che restano scolpite nella memoria, per
la potenza con cui vengono mostrate.
La drammaticità del momento: la disperazione di una donna che vede
portare via, dalla Gestapo, il padre del figlio che porta in grembo.
L’intensità con la quale l’attrice recita la scena, divincolandosi da
chi, spaventato dalle conseguenze del suo gesto tenta invano di trattenerla.
La corsa disperata dietro la camionetta, assolutamente incurante del
pericolo, urlando, con tutta la sua forza, il nome dell’uomo amato.
L’invisibilità della macchina da presa che si limita a documentare il
tutto; rendono questa sequenza, una delle pagine più intense della storia del
cinema.
Ecco cosa dichiarò Anna Magnani riguardo questa scena: “Quando sono
uscita dal portone all’improvviso sono ripiombata al tempo in cui per Roma
portavano via i giovani, i ragazzi. Perché era popolo quello che stava
addossato contro i muri. I tedeschi erano tedeschi, presi da un campo di
concentramento. Le donne erano pallide nel risentire i nazisti mentre parlavano
tra loro. Questo mi ha comunicato l’angoscia che ho reso sullo schermo.”
Roma città aperta
commosse tutto il mondo e lanciò Anna Magnani come stella di prima grandezza
nel firmamento cinematografico.
L'ultima parte del film, racconta la cupa permanenza degli arrestati,
Manfredi e don Pietro negli uffici della Gestapo. La crudeltà degli eventi, il
loro “reale”, colpisce e lascia un ricordo indelebile.
L'epilogo, con l'esecuzione di don Pietro, segna ancora uno dei
momenti più alti del film.
Il bellissimo tema musicale di Renzo Rossellini, sembra quasi
esplodere come un urlo straziato mentre i ragazzini sfilano mesti sul fondale
della città eterna.
Ed è proprio a Don Pietro che Rossellini consegna l’ultima battuta del
film : “Non è difficile morire bene, difficile è vivere bene.”
La storia del cinema si divide in due ere:
una prima e una dopo “Roma città aperta”
Otto Preminger
1 comentario:
Eccellente analisi di un grandissimo film, complimenti
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