viernes, 6 de junio de 2014

Roma città aperta – di Roberto Rossellini. Marilena Dattis


Roma città aperta – di Roberto Rossellini

Marilena Dattis


"Roma, città aperta" (1945). Roberto Rossellini
Poster

Marilena Dattis

 Il 31 luglio del 1943 il ministro degli esteri italiano Raffaele Guariglia, comunica al Vaticano che Roma era stata dichiarata “città aperta”; il 14 agosto il governo Badoglio proclama ufficialmente e unilateralmente Roma “città aperta” e la Santa Sede fa pervenire, la comunicazione del governo Badoglio, ai governi di Londra e Washington.

 La definizione città aperta significa che la città non viene dotata di mezzi difensivi o offensivi. Per tali ragioni dovrebbe essere risparmiata dai bombardamenti o azioni belliche. Mentre l’Italia smilitarizza effettivamente la città, la Germania ignora qualsiasi impegno a riguardo, i governi alleati perciò ignorano la dichiarazione unilaterale e si riservano “piena libertà di azione nei riguardi di Roma” . Prima della Liberazione, avvenuta il 4 giugno 1944, la città subirà altri 51 bombardamenti.

Con
l'occupazione tedesca, la città di Roma viene messa in ginocchio, mancano i beni di prima necessità dall'acqua al pane. In questo clima, un giovane regista Roberto Rossellini e uno scrittore di cinema Sergio Amidei, sentono il bisogno di documentare in un film quanto è successo in quei mesi di occupazione nazista.

Roberto Rossellini (1906-1977)

 Alla sceneggiatura collaborano Sergio Amidei, Federico Fellini, Celeste Negarville e Roberto Rossellini.
Il film viene girato nell’immediato dopoguerra, a pochi mesi dalla Liberazione.
Le difficoltà sono immense, bisogna trovare, non solo il denaro che serve, ma anche gli uomini e i mezzi. La pellicola è introvabile, si gira con quello che si riesce a reperire, spesso di scarsa qualità.


 A Roma gli stabilimenti di posa sono stati smantellati e ospitano gruppi di profughi. Ma le strade e le piazze di Roma portano ancora tutti i segni che la guerra ha lasciato. Quegli stessi luoghi diverranno i set cinematografici. Il film si inizia a girare, con mezzi di fortuna, lì dove i fatti erano realmente accaduti solo pochi mesi prima.


 In Roma città aperta, si racconta la storia della popolazione romana sotto il giogo nazista. Si raccontano senza riserve, le torture, le ritorsioni, gli episodi di eroismo di cui furono protagonisti gli uomini e le donne che si opposero a quella barbarie. Il film si sviluppa intorno al personaggio di Don Giuseppe Morosini, adattato da Sergio Amidei, un parroco romano fucilato dai nazisti, dopo essere stato sottoposto a torture, per aver nascosto i partigiani.

Ad interpretare la parte di Don Morosini viene chiamato Aldo Fabrizi che a quell’epoca era considerato uno dei più grandi comici del varietà. L’attore rese al personaggio di Don Pietro un’interpretazione magistrale.


 Rossellini e gli altri sceneggiatori decisero di inserire, all’interno della storia, le vicende dei ragazzini di Roma, che durante l’occupazione avevano dato un loro valido contributo alla Resistenza, facendo da collegamento e da porta ordini e talvolta nascondendo anche armi.
Altro personaggio cardine è Teresa Gullace, una donna uccisa dai tedeschi nel quartiere Prati, madre e per di più incinta, che aveva tentato di opporsi ad un rastrellamento in cui era caduto suo marito.
Nel film ad interpretare la parte viene chiamata Anna Magnani, che entra nel ruolo di Pina con una partecipazione emotiva tale da commuovere tutto il mondo.

 Roma. Italia. 1944. Un gruppo di militari nazisti fa irruzione in una pensione per catturare il sovversivo ingegner Giorgio Manfredi, che però riesce a dileguarsi fuggendo sui tetti. Il maggiore Bergman è sulle sue tracce da tempo poiché l’ingegnere è stato riconosciuto come uno dei rappresentanti più importanti del Comitato di Liberazione Nazionale.



 Il film si presenta subito, sin dalle prime scene, come documento storico, le sequenze iniziali presentano un carattere documentaristico.
 Mentre ancora scorrono i titoli e sfuma leggermente la musica, si sente un coro di voci che canta una marcetta in tedesco, l’immagine che apre il film è una squadriglia di nazisti che, cantando con i fucili in spalla, marcia su Roma. Stacco.
 Una camionetta si ferma in mezzo alla strada deserta, una truppa di tedeschi scende e si dirige verso una palazzina, arrivati al portone battono tre colpi. La mdp inquadra lateralmente un balcone con le imposte chiuse e mentre i tedeschi continuano a bussare con irruenza, si sente una “voce off” prima in inglese poi in italiano che dice : La voce di Londra”. E’ lo speaker di Radio Londra.

 Con Roma città aperta , si apre una nuova stagione per il cinema italiano, rappresentata dal neorealismo. Non è semplice, oggi, comprendere in tutte le sue implicazioni un fenomeno che fu senz’altro complesso e che non può essere ridotto a una formula o a un’immagine stereotipata. Tuttavia, poche opere sono state sufficienti a definire una nuova estetica, capace di rinnovare non solo il cinema italiano, ma anche di costituire un punto di riferimento per altre cinematografie, in varie parti del mondo.



 L’impiego di attori non professionisti, il realismo dell’ambientazione ottenuto abbandonando gli studi di posa a favore delle riprese in esterni, l’adozione di uno stile documentaristico, la narrazione di vicende ispirate alla vita quotidiana, ai fatti di cronaca: sono questi i principi estetici introdotti dal neorealismo.

 È vero che la grande rivoluzione il neorealismo la attuò a livello estetico, ma non solo.
La modernità di forme, di contenuti, di segni, di linguaggio cinematografico diventa il punto di partenza e di arrivo del ruolo figurativo della macchina da presa.

 Il concetto di realismo nella modernità cinematografica, ad opera di registi quali Rossellini, Visconti o della coppia De Sica- Zavattini, non è legato soltanto ad una realtà fenomenica delle città italiane dell’immediato dopoguerra, ma soprattutto all’immagine che questi registi hanno saputo rendere di quella realtà.

 Qualcosa cambia all’interno del cinema, quando questo prende coscienza di se e dell’utilizzo dei propri mezzi, ed è soprattutto nell’evoluzione del linguaggio cinematografico che si attua la modernità del neorealismo.

 Il cinema italiano nell’utilizzare l’aspetto riproduttivo del mezzo riesce a restituire l’illusione del reale ma anche una “partecipazione“ al reale in senso zavattiniano : i fatti non nascono da soli, ma nascono perché noi partecipiamo ad essi.

 La voce fuori campo è presente in molti film neorealisti, ma nel caso della sequenza di apertura di Roma città aperta assume una vera e propria funzione metacomunicativa, il regista “sta comunicando”, attraverso un altro media, in questo caso la radio, un’informazione molto importante.

Alla fine dell’annuncio dello speaker: “La voce di Londra” , le imposte si aprono, una donna spia di sotto e vede i nazisti che si apprestano ad entrare nel portone: “Oh Gesù”, esclama, portandosi le mani alla testa. In quelle due parole è racchiuso, il dramma, il terrore per quello che potrebbe accadere. Le imposte si richiudono.

È solo dopo che si ascolta la voce alla radio, che la donna aprirà la finestra. Il ruolo in guerra di Radio Londra è stato cruciale nello spedire messaggi speciali, redatti dagli Alti comandi alleati e destinati alle unità della resistenza italiana.
I tedeschi stanno cercando il partigiano Manfredi. E’ lo speaker di Radio Londra che sta informando gli abitanti della casa del pericolo e che in uno gioco metacomunicativo informa lo spettatore, rendendolo così “partecipe” di quello che sta per accadere. L’ingegnere ricercato dalla Gestapo è proprio in quella casa.

 Dissolvenza. La mdp ci mostra l’uscita sulla terrazza di Manfredi, che, prima di scappare, spia all’interno di un abbaino e vede i tedeschi sul pianerottolo dinanzi alla porta della casa, a quel punto inizia la fuga di Manfredi.

 Queste le prima sequenze del film, che esce nelle sale italiane il 27 settembre 1945, accolto piuttosto freddamente in Italia per motivi politici.

 Alla prima edizione del festival di Cannes, nel 1946, a Roma città aperta viene assegnata la Palma d’oro, il nuovo cinema italiano conosce un successo internazionale senza precedenti.



  L’eterna immagine creata da Rossellini in Roma città aperta, con Anna Magnani che corre dietro il camion che sta portando il marito al massacro delle Fosse Ardeatine, condensa in pochi istanti, anni di cinema, anni di storia.
L’’uccisione della sora Pina in Roma città aperta, è una di quelle immagini della storia del cinema che restano scolpite nella memoria, per la potenza con cui vengono mostrate.

La drammaticità del momento: la disperazione di una donna che vede portare via, dalla Gestapo, il padre del figlio che porta in grembo.
L’intensità con la quale l’attrice recita la scena, divincolandosi da chi, spaventato dalle conseguenze del suo gesto tenta invano di trattenerla.
La corsa disperata dietro la camionetta, assolutamente incurante del pericolo, urlando, con tutta la sua forza, il nome dell’uomo amato.
L’invisibilità della macchina da presa che si limita a documentare il tutto; rendono questa sequenza, una delle pagine più intense della storia del cinema.


 Ecco cosa dichiarò Anna Magnani riguardo questa scena: “Quando sono uscita dal portone all’improvviso sono ripiombata al tempo in cui per Roma portavano via i giovani, i ragazzi. Perché era popolo quello che stava addossato contro i muri. I tedeschi erano tedeschi, presi da un campo di concentramento. Le donne erano pallide nel risentire i nazisti mentre parlavano tra loro. Questo mi ha comunicato l’angoscia che ho reso sullo schermo.



Roma città aperta commosse tutto il mondo e lanciò Anna Magnani come stella di prima grandezza nel firmamento cinematografico.

L'ultima parte del film, racconta la cupa permanenza degli arrestati, Manfredi e don Pietro negli uffici della Gestapo. La crudeltà degli eventi, il loro “reale”, colpisce e lascia un ricordo indelebile.

 L'epilogo, con l'esecuzione di don Pietro, segna ancora uno dei momenti più alti del film.

 Il bellissimo tema musicale di Renzo Rossellini, sembra quasi esplodere come un urlo straziato mentre i ragazzini sfilano mesti sul fondale della città eterna.

 Ed è proprio a Don Pietro che Rossellini consegna l’ultima battuta del film : “Non è difficile morire bene, difficile è vivere bene.”

La storia del cinema si divide in due ere:
una prima e una dopo “Roma città aperta”
Otto Preminger




1 comentario:

marian dijo...

Eccellente analisi di un grandissimo film, complimenti